About_menu Biografia Mostre Bibliogrfia
Arte Design About
1997

L’ortogonalità come filo logico di una poetica. È questa la considerazione principale che l’opera di Jacques Toussaint suggerisce. L’ortogonalità. Che informa ogni lavoro, ne costituisce i presupposti, ne definisce e ne guida la lettura. Anche se poi l’evidenza mostra presenze oblique che in prima istanza sembrano prevalere ed essere qualificanti. Tutta la sua produzione è il risultato di un rigoroso processo di costruzione, che si fonda sulla applicazione della figura perfetta fondata sulle ortogonali, cioè il quadrato, e sulla sua articolazione prima nel piano e poi nello spazio.
Le leggi della geometria risultano essere strumenti quanto mai raffinati per la composizione di “immagini”. Mi si passi il termine “immagine” nella accezione estesa di “manifestazione percepibile di un complesso di elementi o di un elemento di per sé astratto o indefinibile” (da Il Nuovo Zingarelli) perché è in questa direzione che si muove la ricerca dell’artista parigino, che ha affinato il suo senso delle cose nel mondo del design contemporaneo, entro cui lavora con uguale coerenza e semplicità traendone nel contempo segni di una nuova elementarità che si fa segno distintivo della sua espressione. Il supporto mentale di una metodologia tecnica, che ha nei rapporti che si instaurano tra le singole parti uno dei caratteri primari, risulta fondamentale nella impostazione di ogni opera. La costruzione di una logica complessiva, infatti, sta alla base della definizione dei “contatti” interni che rendono vitale ogni lavoro e ne “registrano” quindi ogni elemento che lo compone. Tutto ciò non é sempre immediatamente leggibile nell’opera conclusa, ma è il risultato di una elaborazione che si precisa nel tempo in un iter progettuale che si chiarifica a poco a poco attraverso modelli in divenire per approdare a quella consistenza espressiva e - perché no? - a quella valenza lirica che danno concretezza all’immagine.
L’articolazione, sia sul piano che nello spazio, delle forme - quelle chiaramente individuali e palpabili, ma anche quelle virtuali, rese riconoscibili solo da alcuni segmenti perimetrici - diventa allora l’alfabeto di questo linguaggio che sa declinarsi a vari livelli divenendo a volte di facile accesso ed in altre occasioni ostico ad una comprensione immediata. Tutto ciò, già attivo nelle due dimensioni, trova ulteriore complicanza nella estensione alla terza dimensione quando sono spesso le forme “assenti” (complementari di forme presenti) a fare la differenza. Ci si trova spesso confrontati, infatti, con ciò che va oltre i “confini” dell’opera di Toussaint, con ciò che è fuori di essa. I limiti estremi dell’immagine diventano i limiti dell’immagine assente, che, proprio perché geometricamente complementare (quindi esito di una costruzione rigorosa), assume una propria identità, prevalendo spesso sull’immagine costruita. In tutto questo ha buon gioco il ruolo che l’artista affida alla luce. Le ombre, portate dalla rilevazione delle superfici e dai riflessi, diventano parte integrante della composizione, estendendo ulteriormente le possibilità espressive proprie di ogni costruzione. Da qui matura una nuova illusione (e distinzione) tra ciò che dell’opera è reale (palpabile, cioè) e ciò che è puramente virtuale. Contrariamente a quanto avviene abitualmente per le opere di questo genere, l’artista non ricorre all’uso del colore per sottolineare, suggerire o individuare le diverse parti della composizione. La sua “tavolozza” è ridotta al minimo: il bianco, come riassunto della luce, e il blu. In aggiunta ecco però l’utilizzo di materiali diversi, come il vetro, in diverse varianti, o, in lavori recentissimi, il neon. Il tutto nella semplificazione consueta della costruzione e nella ricerca sempre più densa e intensa della spazialità. Così i vetri possono equilibrarsi, nella diversificata compattezza e trasparenza, su un impianto ortogonale; e il neon può diventare decisivo nel dare ad un’opera una dimensione ambientale.
Sia nei lavori bidimensionali, che in quelle spaziali compare a volte la linea curva, o ,meglio una semicirconferenza o un arco di essa. La loro presenza, al di là dell’apporto all’equilibrio compositivo peraltro mai prevalente, é volta a dare movimento all’insieme e ad evidenziare quella energia interna dell’opera che può apparire compressa dal rigore della sua apparenza. Merita una considerazione, in chiusura, lo spirito complessivo che anima queste opere di Toussaint. Pur nel suo aspetto razionale, ogni lavoro va oltre l’assolutezza dei principi che la informano. Ogni composizione vive della partecipazione intima (che non è certo solo quella del calcolo e della geometria) dell’artista, che si traduce nella limpida e assorta atmosfera che sembra avvolgerla. Senza forzature, senza interventi eclatanti. Ogni proposta è veicolo di una visione che supera la fisicità. Un che di mistico, di soprannaturale avvolge tutto, certo anche in forza dei significati impliciti nell’ortogonalità di base delle varie opere.


Luigi Cavadini
in “Jacques Toussaint. La poetica dell’ortogonalità”,
Galleria Spaziotemporaneo, Milano - Museo Casabianca, Malo, 1997


info